Ischia: Scandalopoli
In questo periodo occorrono in media 13-14 pagine, prima di approdare a notizie che non si occupino di scandali sui quotidiani nazionali. Una media che suggerisce tristi analogie, visto che spesso si manifesta in presenza di gravi eventi naturali o bellici più o meno vicini a noi. In termini di “impaginazione”, non cambia molto se si osservano i TG ed i GR: in proporzione alla loro durata complessiva i contenuti delle notizie sono distribuiti allo stesso modo.
Il terremoto di scandali che sta facendo vibrare alle fondamenta il nostro Paese è talmente potente, da essere riuscito a mettere in secondo piano persino un evento di enorme importanza e significato, quale è la riforma della Costituzione, relegata nelle pagine meno visibili e comunque molto “avanti”, ben lungi dal primo piano che meriterebbe. A prescindere dai risultati del referendum confermativo (al momento in cui scrivo sono ancora aperte le urne), in ogni caso va rilevato il potere da rullo compressore che stanno via via acquisendo i “panni sporchi dell’Italia”. Certo, fino a poco tempo fa non potevamo comunque assumere un’aria da virtuosi, ma perlomeno c’era una quantità di marciume che veniva a galla (come parallelamente e frequentemente sta accadendo nel mare che circonda la nostra – un tempo splendida – isola) più circoscritta e meno generalizzata. Probabilmente il mio è solo un pensiero da ingenua proletaria quale sono e resterò, incapace di metabolizzare il profumo dei soldi, l’essenza del potere e soprattutto ancora incline e sensibile alla natura, all’arte, alla cultura. Una (inutile?) idealista, insomma. Eppure, grattando il fondo del barile così “bene”, ma così “bene” come stiamo facendo in questo avvilente, deprimente, medievale inizio di nuovo millennio, mi aggrappo alla Storia e alle lezioni di vita che da essa ho imparato (grazie anche a chi ha saputo insegnarmela, aiutandomi di analizzarla a più livelli, senza fermarmi alle date ed ai numeri): è stato spesso così, nel senso che solo arrivando a toccare i sotterranei più profondi, i livelli più bassi della natura umana, si può aspirare nuovamente alla crescita, alla riconquista di un minimo di dignità. Quando ormai l’ultimo scampolo di onore è svanito nella melma più maleodorante, quando guardandosi intorno non si vede che il vuoto, quando le pietre che potrebbero scagliare i senza-peccato sono diventate polvere e volate via nel vento, allora può forse essere messo un vero punto, si può scrivere la parola “Fine”, e ricominciare a sperare. Certo, sperare, ma in cosa? Il vero problema è che la spirale in cui siamo completamente aggrovigliati è nello stesso tempo una tela di ragno, dove più si cerca di liberarsene e più questa si stringe, si appiccica, si sfilaccia, portando con sé anche una insopportabile dose di nausea. Forse (ma con grande beneficio del dubbio, perché la datazione di questo fenomeno è anche antecedente), nella “moderna” Italia l’onda dello scandalo ha cominciato a montare agli inizi degli anni ’90 con Tangentopoli, messa poi alla gogna da tutta quella corposa parte di italiani che delle tangenti avevano infarcito il proprio DNA. Da allora, il ritmo si è fatto man mano più ravvicinato, più incalzante, fino allo stato attuale, quando l’onda è diventata gigantesca, probabilmente senza una cresta perché infinita, continuando a nutrirsi di sé stessa e diventando perciò incrollabile. E ora? Che si fa? Si sta a guardare? Si scommette sul chi, sul come, sul quando, sul QUANTO? No, grazie. Si emettono giudizi morali? E chi li ascolterebbe? Solo noi pochi stupidi, rimasti ottusamente a guadagnarci da vivere lavorando, credendo nei propri valori, confrontandoci con stipendi ridicoli rispetto al costo REALE della vita e divincolandoci tra bollette, estratti conto, carte di credito/debito, rateizzazioni senza fine, bisogni reali e bisogni indotti. Saremmo solo noi, ad ascoltarli. Noi che già siamo vittime di scandalopoli, perché non dimentichiamo mai che il prezzo di tutto questo lo stiamo pagando e continueremo a pagarlo noi onesti, perché per esserci chi ruba (beni materiali, ma anche diritti e meriti), dev’esserci per forza anche chi è derubato. Ci si preoccupa allora del futuro? Faremmo bene a farlo, per noi e per i nostri figli, perché sotto la patina di apparente modernità e benessere stiamo invece regredendo sempre più a Paese non già e neanche in via di sviluppo, bensì in via di VILUPPO. Termine poco noto? Eppure ogni buon dizionario della lingua italiana lo spiega in modo inequivocabile: “ammasso intricato, intreccio, groviglio, garbuglio, nodo, groppo, confusione, ginepraio, pasticcio”. Mi resta solo da sperare che l’onda, per quanto cresca nutrendosi di sé stessa, prima o poi incontrerà la riva e dovrà per forza infrangersi, non senza aver prima sferrato l’ultimo, impietoso colpo di coda, distruggendo infinite distese di terre che dall’onda non erano state mai toccate o comunque avevano saputo resistervi, rinforzando gli argini e mantenendo alta la guardia. Forse allora, e solo allora, la terribile idra dovrà soccombere, lasciandosi alle spalle una devastazione infinita, in cui la “moderna e progredita” Italia dell’inizio del ventunesimo secolo (o terzo millennio che dir si voglia) apparirà inspiegabilmente, ma fortunatamente, estinta.
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