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Newsflash Napoli

Napoli: Serie b2 maschile girone g

Esordio vincente per il Rione Terra Pozzuoli Volley che espugna il campo della Virtus Tricase Volley nella prima di campionato di serie B2. La squadra di coach Costantino Cirillo è stata fin dall'inizio attenta e non ha lasciato scampo agli avversari determinata di centrare il successo. L'1-3 come risultato finale lascia ben intendere cosa i gialloblù hanno speso sul parquet in terra pugliese. Il primo set è equilibrato con il Rione Terra che riesce a mettere a terra nel finale i punti decisivi vincendolo per 21-25.

Newsflash Ischia

Ischia: Per la prima volta all'isola d'ischia il servizio di Ischiawifi internet e telefonia Voip 24/24. Call Center 19301328

Ischia Wifi è un servizio di connettività Internet e telefonia VoIP, messo a disposizione dell’utenza tramite WADSL (Wireless ADSL). L'azienda nasce da un accurato studio ed esperienza del mercato wireless in tutti i suoi aspetti più ragionevolmente conosciuti come la diffusione di Internet ad alta velocità (banda larga) in ambienti circoscritti che siano aperti, come valli, comuni o intere città, oppure per ambiti più ristretti come piazze, locali, attività ricettive e commerciali fino ad arrivare a fornire un servizio di tipo residenziale con inclusa telefonia VoIP.

Newsflash Capri

Capri: Capri watch, domani a Napoli cocktail con Veronica Maya per Millefiori triplo brindisi per il brand che inaugura cosi' il primo flagship store partenopeo

Triplo brindisi per Capri Watch domani sera a Napoli con Veronica Maya, testimonial femminile del brand e madrina dell’evento con cui l’azienda di orologeria glamour in un colpo solo festeggerà con i suoi fedelissimi il Natale ormai alle porte, certo, ma anche due eventi molto attesi da tutti i suoi fan: l’inaugurazione del primo flagship store partenopeo, in piena via Filangieri, e la presentazione in anteprima della nuovissima collezione “Millefiori” con cui l’azienda intende accompagnare le ore dei trend addicted internazionali per tutto il 2015.

Newsflash Casamicciola

Casamicciola: Sabato 5 luglio 2014 alle ore 11 al Capricho de Calise in Piazza Marina di Casamicciola Terme, su invito del Sindaco Giovan Battista Castagna

si incontreranno i Sindaci dei Comuni delle isole Ischia,Procida e Capri
ed il Sindaco di Napoli, nella qualità di prossimo Sindaco dell’Area Metropolitana,
per confrontarsi sul da farsi per dare assetto e dignità al trasporto marittimo.

Newsflash Roma

Roma: Vasto Film Fest XX edizione

Mercoledì 5 agosto 2015 – ore 11
Centro Sperimentale di Cinematografia - Cineteca Nazionale
Via Tuscolana 1524, 00173 Roma
Interverranno:
Luciano Lapenna – Sindaco Comune di Vasto
Vincenzo Sputore - Vice sindaco e Assessore con delega al turismo e cultura Comune di Vasto
Michele D’Annunzio – Dirigente settore turismo e cultura Comune di Vasto
Marcello Foti - Direttore Generale del Centro Sperimentale di Cinematografia
Gabriele Antinolfi - Direttore Cineteca Nazionale
Daniela Poggi – Conduttrice Vasto Film Fest
Stefano Sabelli – Direttore artistico Vasto Film Fest

Isola News

Siamo o non siamo reclusi ... siamo agli arresti domiciliari per colpa del Covid19 ...

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Mi sembra una farsa bianco, giallo, arancione e rosso ... le regioni che di settimana in settimana cambiano di colore ... Assistiamo a grafici, percentuali, disegni, tabella 9, tabella 11, News ogni 5 minuti, ci bombardano di notizie di matematica ...

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Italia: Paghi 4 e prendi 1: una presa per il cuneo a causa della Spending review. PDF Stampa E-mail
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ItaliaNews - Cronaca
Scritto da Franco Pinerolo   
Martedì 25 Marzo 2014 18:33

Italia: Paghi 4 e prendi 1: una presa per il cuneo a causa della Spending review.

SINTESI:
a) IL TAGLIO DELLA SPESA PUBBLICA PUÒ ESSERE MOLTO DANNOSO:
1) AUTOREVOLI RICERCHE (qui qui qui qui qui e altrove) HANNO DIMOSTRATO CHE TAGLIARE LA SPESA PER RIDURRE LE TASSE AGGRAVA LA RECESSIONE.
2) IMPORTANTI STUDI (qui qui, qui. e altrove) PROVANO CHE TAGLI ALLA SPESA PUBBLICA PROVOCANO CADUTA DEL PIL.
3) PRESTIGIOSI SAGGI (qui qui qui e altrove) MOSTRANO CHE TAGLI ALLA SPESA PUBBLICA PROVOCANO IMPOVERIMENTO E DISOCCUPAZIONE.
b) INNUMEREVOLI STUDI ACCADEMICI DIMOSTRANO CHE LA SPESA PUBBLICA È UTILE NON IMPRODUTTIVA:
1) NUMEROSI IMPORTANTI TESTI (Qui , qui  qui  qui,  qui qui. ecc) DIMOSTRANO CHE LA SPESA PUBBLICA SERVE ALLA CRESCITA
2) UN’INFINITÀ DI RICERCHE DIMOSTRA CHE LA SPESA PUBBLICA, AUMENTANDO LA DOMANDA DI BENI E SERVIZI, SI AUTO-FINANZIA
3) LA SPESA PUBBLICA RALLENTA LA CADUTA DEI REDDITI
4) RICERCHE ED EVIDENZE EMPIRICHE DIMOSTRANO CHE LA SPESA PUBBLICA RIDUCE LA DISOCCUPAZIONE.
5) LA SPESA PUBBLICA AUMENTA GLI INVESTIMENTI
6) LA SPESA PUBBLICA NON È IMPRODUTTIVA

c) ALCUNE FALSE TESI SULLA SPESA PUBBLICA
1) L’ITALIA NON È UN PAESE SPENDACCIONE NEPPURE SE PARAGONATO AGLI ALTRI PAESI UE. I GRAFICI, PROVENIENTI DA FONTI UFFICIALI, PARLANO DA SÈ:
ì) LA SPESA PUBBLICA corrente, primaria, pro-capite dell’Italia tra le più basse dell’Unione europea qui. (Fonte Istat) qui; qui e qui (Fonte Real-World Economics Review); (fonte database AMECO) qui; spesa per funzione sul totale della spesa (fonte: Eurostat) qui; spesa inclusiva degli interessi sul debito pubblico (fonte: Eurostat) qui;
ìì) LA SPESA IN WELFARE, complessiva, pro capite e sul PIL è fra le più basse in Europa (fonte: Eurostat): qui
ììì) È VERO CHE IN SANITÀ SIAMO FRA QUELLI CHE SPENDONO MENO IN EUROPA v. QUI e QUI QUI  e QUI  e QUI; qui dati Ocse; qui quella-corrente dati-Ocse; ai primi posti quanto a livelli di efficienza. v. qui e qui. I costi standard sono dunque ingiustificati, e servono solo a uniformare in modo lineare la spesa al ribasso contro il diritto alla salute sancito dall’art 32 della Costituzione.
ìììì) IL RISPARMIO PRIVATO ITALIANO di famiglie, imprese ed istituzioni finanziarie, è sempre stato ad ottimi livelli, a testimonianza di una propensione ad essere più formiche che cicale, molto meno indebitate di altri Paesi v. qui qui  e qui il debito aggregato  e qui il debito per adulto
ììììì) PER I DIPENDENTI PUBBLICI NON SI SPENDE MOLTO (fonte: Aran) v. qui e qui su fonte OCSE. NON È VERO CHE IN ITALIA GLI IMPIEGATI PUBBLICI SONO TROPPI in rapporto agli altri Paesi v. qui su fonte OCSE
ìììììì) SCUOLA: ultimi in Europa per la spesa pubblica pro capite v. qui e qui su fonte OCSE
La crescita del debito pubblico è imputabile agli interessi passivi il cui ammontare è determinato da tassi causati dalla mancanza di una vera Banca centrale in Europa, differente rispetto a quella di tutti gli altri Paesi del mondo. Il disavanzo del bilancio pubblico si spiega col divorzio tra la Banca Centrale e il Tesoro nel 1981 (prima era solo al 58% del PIL), unito al problema di un’elevata evasione fiscale, all'insufficienza della domanda aggregata, alla competizione fiscale tra Stati, alla scelta deflazionistica dei governi e alla elargizione di sussidi alle imprese e sgravi ai possessori di ingenti ricchezze per evitare fughe di capitale all’estero. I salvataggi delle istituzioni finanziarie (Banche) hanno numeri tali che avrebbero potuto saldare in toto debiti di interi Paesi, ma i mass media mettono in evidenza solo il debito pubblico, esploso  per salvare le banche.
2) NON È VERO CHE LE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE SPENDONO PIÙ DI QUANTO RISCUOTONO, MA È IL CONTRARIO: siamo in  AVANZO PRIMARIO qui  v. anche qui e qui e qui l’Istat su avanzi primari. Paesi i cui rappresentati ci invitavano a tagliare la nostra spesa pubblica hanno una spesa delle amministrazioni maggiore della nostra (fonte: Economist) qui e qui con fonte il Fondo Monetario internazionale

d) SERVE LA MANOVRA PRE-ELETTORALE SUL CUNEO FISCALE?3 caffè al giorno, da cui sono esclusi disoccupati, pensionati e indigenti, e che andranno (secondo Bankitalia e altri studi qui) non in consumi ma in mutui, tasse Equitalia e sulla casa, Rc auto e multe. E gli Enti locali hanno giù deciso l’innalzamento dell’aliquota Irpef.

NON PRAEVALEBUNT

PAGHI 4 E PRENDI UNO

È la nuova offerta propinata dagli ultimi governi del nostro Paese. Prima c’è stata la Legge di stabilità 2013 (l’ex Finanziaria, che con una mano doveva erogare poco più di 8 euro al mese - coi tagli al cuneo fiscale - mentre con l'altra toglieva molto di più attraverso la Trise, i tagli alla spesa pubblica, gli aumenti delle tasse e la stangata ai lavoratori pubblici), poi c’è stato il salasso IMU – Bankitalia che in cambio di qualche decina in meno di euro in tasse sulla casa ha rifilato ai contribuenti italiani un salasso di 7,5 miliardi di euro a favore delle Banche azioniste. Ora è la volta del cuneo fiscale finanziato con tagli di spesa pubblica per la stratosferica cifra di 5 miliardi quest'anno, ma che arriveranno addirittura a 36 nel 2016. Qui e qui tutte le  misure della spending review, in pratica un vero e proprio assalto al welfare, al principio dello stato erogatore di servizi pubblici e alle condizioni di vita di lavoratori pubblici, invalidi, pensionati, pensionande, ammalati, e piccoli risparmiatori, che si tradurrà anche in minori consumi e investimenti pubblici, in linea con le attuali politiche europee votate ad una stupida austerità che distrugge l’economia, peggiora i conti pubblici e l’occupazione. La “barbarie del capitalismo incivile” (teologo Leonardo Boff).

a) IL TAGLIO DELLA SPESA PUBBLICA PUÒ ESSERE MOLTO DANNOSO:
1) AUTOREVOLI RICERCHE HANNO DIMOSTRATO CHE TAGLIARE LA SPESA PER RIDURRE LE TASSE AGGRAVA LA RECESSIONE.

a) Il moltiplicatore della spesa (cioè quanto il PIL si contrae in seguito ad un taglio della spesa pubblica) è molto superiore al moltiplicatore delle imposte, soprattutto in una fase recessiva, segnata dalle difficoltà di accesso al credito. Una recente ricerca del Fondo Monetario Internazionale (FMI) qui sui G7 (Baum, A. Poplawski-Ribeiro, M. e Weber, A. "Fiscal multipli ars and the state of the economy", n. 12/286) mostra che con un taglio di spesa di 1 euro si ha un impatto recessivo di 1,34 euro, mentre con una riduzione di imposte di un euro si ottiene un effetto espansivo di 0,35 euro. Ovvero, un taglio di spesa accompagnato da una corrispondente riduzione di tasse determina un effetto recessivo di pari importo.
b) “La Stampa” ha pubblicato sabato 25 agosto 2012 questo working paper del FMI scritto da Nicoletta Batini, Giovanni Callegari e Giovanni Melina, per cui un taglio della spessa pubblica equivalente all’1% del PIL provoca una caduta del PIL dall’1,4% all’1,8%, mentre l’espansione della spesa pubblica determina un aumento del reddito che è un multiplo di sè stessa. Questo rende possibile ottenere un eccesso del gettito fiscale sulla spesa. Batini, Callegari e Melina mostrano anche che la minore spesa deprime di più il PIL di quanto non lo stimoli la minore tassazione qui il grafico . In sostanza, l’idea che si possano risolvere i problemi del nostro Paese e uscire dalla crisi con un piano “taglia spesa, taglia tasse”, come proposto oggi, produrrebbe un aggravamento della crisi e ammanchi nelle casse pubbliche.
c) Altri studi,  come qui, sono concordi nel ritenere che nel contesto di un’economia depressa, che soffre di un deficit prolungato di domanda aggregata, l’impatto negativo sul PIL dovuto a una diminuzione della spesa pubblica, a maggior ragione se attuata per mezzo di tagli lineari, è maggiore dell’impatto positivo dovuto a una riduzione delle tasse, perché in un tale contesto è tutt’altro che certo che la gente spenderebbe quei soldi in più che si ritroverebbe in tasca, pensando piuttosto a risparmiarli o a ripagare i debiti. Quindi l’impatto di questa manovra sarebbe recessivo.
d) il ragionamento per cui se taglio la spesa pubblica creo aspettative di calo della pressione tributaria e anche dell'inflazione, e quindi le imprese, godendo di maggiori disponibilità, investono, è sbagliato. Infatti la curva (IS) di trasformazione del risparmio in investimento è tendenzialmente rigida, e lo è ancor di più in un periodo di recessione dovuto al crollo della domanda con interessi bassissimi fissati dalla Banca centrale e che portano ad una trappola della liquidità. Chi investe lo fa per motivazioni legate alla domanda, oltre che per prospettive del mercato internazionale, che scontano i prezzi relativi determinati da fattori dipendenti proprio dalla spesa pubblica che permette di sostenere i consumi e quindi la domanda. Inoltre, la propensione al consumo è mediamente del 60%, quindi un aumento del reddito in seguito ad un riduzione delle imposte, ad esempio di 100 euro, si tradurrà in un aumento dei consumi di soli 60 euro e non vi è garanzia che gli altri 40 siano impiegati per finanziare gli investimenti, anche se dovesse scendere il tasso di interesse. Tanto più nella situazione attuale, in cui c’è una capacità produttiva inutilizzata e le imprese vedono scendere la domanda dei loro prodotti (la propensione agli investimenti, nel 2012 era pari al 17,5%). Quindi gli investimenti non sono in grado di assorbire il risparmio disponibile. Il risultato sarà un calo dei redditi e dell’occupazione, che non solo aggraverà il rapporto debito/PIL, ma procurerà anche un deficit di bilancio aggiuntivo a causa delle minori entrate pubbliche in seguito alla riduzione dei redditi delle famiglie e delle imprese, indotte dalle politiche di austerità.
e) Una importante economista americana, Christina Romer, ha calcolato per la manovra che lei stessa fece per il Presidente Obama nel 2009 , dati che stimarono come moltiplicatore 1,5 per la (maggiore e minore) spesa e 1 per la (minore o maggiore) tassazione.
f) un aumento di spesa è ben più espansivo di un taglio delle tasse in questo contesto economico. Alcuni studi, fra cui quello di un consulente del Governo inglese (J.Portes) dimostrano che i tagli/incrementi alla spesa pubblica hanno un impatto negativo/positivo sul PIL che ammonta a 1-3 volte il taglio/incremento iniziale (a seconda dei settori), mentre l’aumento/riduzione delle tasse ha un impatto pari a 0,1-0,8 volte sul PIL.
g) Anche non considerando alcun moltiplicatore, una riduzione di 10 miliardi di euro di spesa pubblica accompagnata da una riduzione di entrate di pari importo (supponendo che tale sgravio si risolva tutto in maggior domanda e crescita dei redditi), avrà un effetto nullo sul reddito complessivo perché -10 miliardi in stipendi pubblici o prestazioni sociali o acquisti di beni e servizi alle imprese compensati da +10 miliardi di spesa privata per minor imposte fa zero.
h) Questa Tabella dice tutto, ed è di fonte FMI.
Tutta questa mole di studi non è potuta passare inosservata ai professionisti dell'economia.

2) IMPORTANTI STUDI PROVANO CHE I TAGLI ALLA SPESA PUBBLICA PROVOCANO CADUTA DEL PIL
a) Nell’ultimo rapporto il Fondo Monetario Internazionale qui ha riconosciuto il proprio errore nel calcolo degli effetti dei tagli alla spesa pubblica e aumenti delle tasse sulla crescita economica, sottolineando come il “moltiplicatore fiscale” (cioè come abbiamo visto una stima di quanto il PIL si contragga in seguito ad un taglio della spesa pubblica o un aumento delle tasse) sia molto più forte di quanto si ritenesse in passato (passando dallo 0,5% a un valore che va dallo 0,9% all’1,7%). Ciò significa che per ogni punto percentuale di aumento della pressione fiscale e/o di tagli alla spesa pubblica la crescita del PIL si contrae più che proporzionalmente fino a -1,7 punti percentuali. Perciò i bilanci non si risanano mai, il PIL diminuisce, aumenta la disoccupazione e diminuiscono gli investimenti. Gli errori di valutazione del FMI sono imperdonabili perché hanno avuto un impatto incalcolabile sulla vita quotidiana dei cittadini europei.
b) Nel 2011, prima della clamorosa retromarcia pubblica di Blanchard (FMI), sempre il Fondo monetario aveva pubblicato uno studio firmato da Jaime Guajardo, Daniel Leigh e Andrea Pescatori dal titolo “Expansionary austerity: new international evidence” (IMF Working Paper 11/158), nel quale si prendevano in esame 173 casi di austerità fiscale in 17 Paesi avanzati fra il 1978 e il 2009 concludendo che tali politiche provocano contrazione del PIL e incremento della disoccupazione. Che infatti è quello che è accaduto in Europa dove siamo in recessione, mentre gli Stati Uniti, che hanno adottato - almeno nel primo anno dell'amministrazione Obama- politiche fiscali e monetarie espansive – ora sono sulla via della ripresa. (v. grafico  qui e qui)
c) Nel testo che ha depositato alla Camera sul DEF 2013, la Corte dei Conti nota che la spesa pubblica al netto degli interessi si è ridotta nell’ultimo triennio di quasi il 2%. Un risultato che – aggiunge la Corte – «non si è tradotto in alcuna riduzione del rapporto tra spesa totale e PIL, il quale resta al di sopra dei livelli pre-crisi». Mentre le entrate, nonostante l’abnorme pressione esercitata sui contribuenti, «sono risultate inferiori per poco meno di 30 miliardi alla stima avanzata nel Def della primavera 2012». In pratica è crollato il PIL e con esso l’idea che si possa ridurre il debito rispetto al PIL comprimendo spese e aumentando entrate. Perché? La spesa pubblica è una componente della domanda (in termini di redditi, servizi e investimenti pubblici) che concorre alla crescita del reddito nazionale, perciò tagliarla, pensando di ridurre l’indebitamento, genera  un miglioramento momentaneo nel rapporto debito/PIL, ma nel corso dei mesi si genera un calo del PIL perché i tagli e le tasse sottraggono denaro ai consumi o sono minore spesa pubblica, la gente ha meno denaro da spendere, quindi cala il PIL. Inoltre, sottraendo la spesa pubblica, lo Stato rinuncia al introiti fiscali che avrebbe incassato se non avesse fatto quei tagli, quindi c’è un incremento del debito pubblico per minori entrate. Come è regolarmente avvenuto dal 2009 ad oggi, per cui, nonostante la spesa al netto degli interessi sia stata ridotta in termini reali del 4,6%, il debito pubblico è salito dal 116,4 al 132,7%. E il governo ogni volta deve poi fare una nuova manovra economica. Il risultato di queste politiche è sempre stato che poi i cittadini, arrabbiati, protestano (v. grafico qui).
d) I dati del recente rapporto World Economic Outlook del Fondo Monetario Internazionale mettono in risalto come rispetto alle crisi globali del recente passato (1975, 1982, 1991) è la maggiore spesa pubblica per appalti e stipendi - che pare scomparsa - che spiega l’andamento del PIL così lento ed anomalo nel rientrare dalla crisi attuale.
e) Gli insigni economisti Paul De Grauwe (su Vox, 21/2/2013) e Paul Krugman (sul NYT, 23/02/2013) provano che in quei Paesi dove più ci sono stati tagli alla spesa pubblica e tasse (fonte FMI, Fiscal Monitor, 2012), di più è aumentato il rapporto debito/PIL (dati Eurostat). (v. grafico qui)
f) Basta guardare all’esperienza britannica: in termini reali il governo Cameron ha tagliato l’1,58% della spesa pubblica rispetto al periodo 2010-2011, con il risultato di aver mandato il Regno Unito (qui) di nuovo in recessione
g) un’enorme mole di analisi econometriche, di verifiche empiriche tra cui quelle di 5 premi Nobel (Kenneth Arrow, Peter Diamond, William Sharpe, Eirc Maskin e Robert Solow) qui, affermano tra l’altro che i “tagli di spesa e/o gli incrementi della pressione fiscale adottati per il rientro dall’eccesso di debito possono danneggiare la ripresa”.
h) Lawrence Summers, già ministro del Tesoro e consigliere economico della Casa Bianca, sul Financial Times  del 30 aprile 2012 ricorda che il taglio della spesa pubblica ha un effetto distruttivo sul PIL pari a una volta e mezzo, cioè a ogni euro in meno di spesa pubblica corrisponde un euro e mezzo di contrazione del PIL, perchè la spesa pubblica rappresenta domanda per il sistema (ad esempio l’assunzione di nuovi docenti o personale medico genera un incremento nel reddito nazionale e quindi favorirà i consumi), e perciò ogni sua riduzione si ripercuote negativamente sull’intera economia .
i) vogliono che la spesa pubblica sia tagliata per “fare come in Germania, che ha uno Stato sociale che funziona molto meglio del nostro”. Ma la Germania ha anche un sistema fiscale migliore del nostro, perché noi abbiamo un’evasione superiore ai 100 miliardi annui e abbiamo una corruzione molto maggiore che lì. E comunque in Spagna e in Grecia la spesa sociale è inferiore a quella tedesca (in Spagna anche la spesa complessiva), ma non sono certo  Paesi in crescita!
l) Lo Shutdown americano è la dimostrazione più evidente che il taglio della spesa pubblica, anzichè favorire la crescita, ne provoca la caduta, come si deduce anche dalle stime di Goldman Sachs. Lo stesso Blanchard, chief economist del FMI ha dichiarato qui, davanti ai microfoni dei media di tutto il mondo che il tetto al deficit, causato dagli ultraconservatori del Tea Party - che vogliono ridurre drasticamente welfare e assistenza - determina un drammatico taglio della spesa pubblica, provocando recessione. Lo stesso discorso può valere, a maggior ragione, in una situazione di stagnazione come quella italiana, provocata da venti anni di saldo primario.

3) PRESTIGIOSI SAGGI MOSTRANO CHE TAGLI ALLA SPESA PUBBLICA PROVOCANO IMPOVERIMENTO E DISOCCUPAZIONE
a) Secondo il Fondo Monetario Internazionale. (IMF, World Economic and Financial Surveys. Fiscal Monitor, October 2012, p. 53 ss) qui in un campione di 17 Paesi OCSE, un consolidamento fiscale dell’1% del PIL si è associato, in media, con aumento dello 0,6% nell’ineguaglianza nel reddito disponibile (misurata dall’indice di Gini) nell’anno successivo. Tale effetto si registra, in maniera cumulativa, nei 5-6 anni seguenti i consolidamenti.
b) Uno studio di Toralf Push (“Fiscal spending multiplier calculations - an application to EU member States”, comparso sul vol. 9 del 2012 dell’European Journal of Economics and Economic Policy) prova che in Italia il moltiplicatore della spesa pubblica (data una propensione al consumo di 0,60 e contenuti di importazione delle diverse spese pubbliche fra 0,06 e 0,19) varia fra 1,84 e 1,57: cioè, se dovessimo considerare l’effetto occupazionale di una diminuzione dell’occupazione pubblica di 100 occupati nel settore della scuola, e/o della sanità e/o dei servizi pubblici, questa diminuzione avrà una ricaduta negativa anche sull’occupazione del settore privato dove si perderanno altri 60-80 posti di lavoro.
c) Il FMI riconosce per la seconda volta qui che ha sottostimato sistematicamente l’impatto recessivo dell’austerità su PIL e disoccupazione.
d) Sempre il FMI, in una serie di studi in cui ha analizzato gli effetti di centinaia di piani di austerità prescritti dal Fondo nel corso dei decenni, è giunto alla conclusione che in tutti i casi l’austerità ha avuto effetti recessivi sulle economie dei Paesi interessati, incidendo negativamente sulla crescita, la disoccupazione, la coesione sociale, il grado di fiducia dei mercati e la sostenibilità del debito pubblico (vedi qui per es.). Lo stato disastroso dell’economia europea ne è la prova materiale.
Tutta questa mole di ricerche non è potuta passare inosservata ai professionisti dell'economia.

b) INNUMEREVOLI STUDI ACCADEMICI DIMOSTRANO CHE LA SPESA PUBBLICA È UTILE NON IMPRODUTTIVA;
1) NUMEROSI IMPORTANTI TESTI DIMOSTRANO CHE LA SPESA PUBBLICA SERVE ALLA CRESCITA

a) Importanti saggi, oltre all’evidenza empirica e alle simulazioni dei modelli utilizzati dalla Fed americana, dalla Bce e  dall’Ocse mostrano come una politica di espansione della spesa abbia effetti positivi sul PIL e sui consumi, mentre una politica di austerità ha effetti negativi che si protraggono nel tempo. Tra questi studi ricordiamo: Guajardo J., Leigh D., Pescatori A. (2011), “Expansionary austerity: new international evidence”, IMF Working Paper, WP/11/158.; Ball L., Leigh D., Loungani P. (2011), “Painful medicine”, Finance & Development, Settembre 2011; Coenen G., Erceg C.J. et al (2012), “Effects of fiscal stimulus in structural models”, American Economic Journal, 4(1), 22-68.
b) Qui uno dei più importanti lavori di economia usciti di recente riguardanti il dibattito sulla politica fiscale, scritto da 3 capaci ricercatori del Fondo Monetario Internazionale (FMI)e della Banca Centrale Europea (BCE) - Batini,  Callegari e Melina - mostra il risultato di una simulazione  per cui dopo 20 trimestri (5 anni) di stimolo fiscale mediante manovra espansiva del 5% si potrebbe ridurre il debito pubblico di quasi 20 punti grazie alla maggiore spesa pubblica (grafico qui ) specie in una fase di recessione come la nostra (grafico qui ). Esattamente l’opposto delle sciocche manovre austere finora richieste dall’Europa all’Italia.
c) Illustri ricercatori come Günter Coenen, Roland Straub and Mathias Trabandt hanno dimostrato qui non solo che i moltiplicatori fiscali esistono e sono positivi (meno tasse e più spesa pubblica fanno salire il PIL) ma anche che il componente della politica fiscale che funziona meglio sono gli investimenti pubblici e soprattutto la spesa pubblica per consumi di beni e servizi (grafico qui ). Gli stessi ricercatori hanno dimostrato che per la manovra poco espansiva nell’area euro (2009-2010), gli strumenti fiscali più utilizzati furono le tasse, che ebbero un moltiplicatore minore, mentre non si usò la spesa pubblica per domanda di beni e servizi, che avrebbe avuto un effetto 2 o 3 volte maggiore, come mostra la tavola qui
d) Ancora Christina Romer, già capo-economista di Obama, nell’ultimo suo lavoro qui, ricorda come sia importante la politica espansiva per stimolare la domanda in periodi rari ma drammatici come questi, e come sia altrettanto importante influenzare le aspettative di imprese e famiglie affinché possa avere pieno effetto il moltiplicatore della spesa avviato da tali politiche, monetarie e fiscali, espansive.
e) Il Fondo Monetario Internazionale richiama la necessità di politiche economiche espansive in questo grafico .
f) Tutti gli esimi professori di Princeton e della London School of Economics unanimemente hanno dichiarato che: ”In un momento nel quale il settore privato è impegnato in uno sforzo di contenimento della spesa, le politiche pubbliche dovrebbero agire come una forza stabilizzatrice a sostegno della spesa”.
g) Alcuni fondamentali esempi storici e attuali possono essere utili:
ì) Chi ha impe¬gnato la spesa pub¬blica e tutti gli stru¬menti mone¬tari per fron¬teg¬giare la crisi reale ha con-se¬guito dei risul¬tati di gran lunga migliori dei Paesi che hanno adot¬tato poli¬ti¬che di auste¬rità. Stati Uniti e Giappone stanno facendo politiche espansive, non aumentando la tassazione oltre misura, e usando lo stimolo della domanda interna col settore pubblico; sia USA, che Giappone attualmente hanno variazioni del PIL e degli investimenti positive e tassi di disoccupazione decisamente inferiori dell’Eurozona (v, grafico qui ), diventata triste emblema delle poli¬ti¬che libe¬ri¬ste, delle riforme strut¬tu-rali, dei feroci tagli alla spesa pub¬blica. Questi esempi sono la conferma più recente del fatto che il deficit spending può essere ancora considerato una strategia efficace in funzione anti-ciclica.
ìì) fare del motore pubblico il volano di un nuovo ciclo di investimenti (sostenibili) e di generazione di lavoro è una scelta esplicitamente ispirata ad Obama dal New Deal di Roosvelt degli anni ‘30, quando negli Usa si uscì dalla crisi del 1929 sostenendo la domanda con la spesa pubblica e con un aumento del potere contrattuale dei lavoratori, richiamando in attività l’enorme disoccupazione.
ììì) In Italia nel 1934 si decise di porre fine alle politiche di contenimento dei costi che avevano portato a risultati disastrosi e si promosse una politica espansiva di reflazione, cosicché il Pil riprese una crescita duratura e sostenuta, in media oltre il 4 percento tra il 1935 e il 1939.
ìììì) anche Paesi come Uruguay, Brasile e Indonesia hanno migliorato e ampliato occupazione e qualità del lavoro grazie a politiche di sviluppo.
ììììì) in Gran Bretagna l’unico trimestre con il segno positivo è stato, guarda caso, proprio quello con la spesa pubblica chiamata Olimpiadi, che ha attirato molta spesa privata aggiuntiva, come ha scritto il “Guardian”.
h) I Paesi industrializzati hanno sperimentato la più alta crescita economica nei periodi nei quali è stata maggiore la spesa pubblica ed è stato maggiore il potere contrattuale dei lavoratori. Ad es. l’Italia (fonte OCSE) ha registrato la più elevata dinamica della produttività del lavoro nel 1976 (+6%, a fronte del –1.5% del 2009) e la più elevata dinamica della produttività del lavoro negli Stati Uniti si è avuta nel 1971 (3.9%).
i) Se la spesa pubblica sostiene aree che aumentano i tassi di crescita attraverso l'aumento della produttività e l'innovazione, come ad es. l'istruzione, le competenze, la ricerca e le nuove tecnologie, allora può scendere il rapporto tra debito e PIL. Nazioni come l’America lo hanno dimostrato, attraverso il microchip, Internet, le nanotecnologie e le biotecnologie, campi di ricerca finanziati attraverso le agenzie pubbliche. E l’economia italiana, caratterizzata dall’arretratezza del suo apparato produttivo, richiederebbe ancor più l’intervento pubblico per una nuova rivoluzione produttiva epocale in grado di rilanciare l’economia su nuove basi sociali ed ecologiche.
l) L’evidenza scientifica dimostra, grazie a due ricercatori David Stuckler, economista sanitario dell’Università di Oxford e Sanjay Basu, epidemiologo dell’Università di Stanford (“The Body Economic, why austerity kills” published by Allen Lane, 2013), che l’investire in sanità, scuola e protezione sociale crea le condizioni per la crescita dell’economia, ovvero un circolo virtuoso che porta ad un miglior benessere, mentre dove si è creduto di più alla strategia dell’austerità, le conseguenze sono state vere e proprie tragedie. In Italia il valore aggiunto, diretto o indotto, dalla filiera della salute equivale al 12% del PIL nazionale, vale a dire che per ogni euro speso nella sanità se ne genera 1,7, perché i servizi sono terreno fertile per la creazione diretta di lavoro, e la cura e l’assistenza delle persone producono filiere di attività, mentre l’intreccio tra il terziario avanzato e i settori ad alta tecnologia ha impatti rilevanti sia in termini occupazionali che di remunerazione degli investimenti. E gli stipendi pagati a insegnanti o infermieri sono tutti soldi che entrano nel circuito dell’economia al pari di ogni altra spesa, trasformandosi in domanda, crescita  e occupazione, dunque rappresentano un formidabile antidoto alla crisi.
m) Paul Krugman nel suo blog riporta il seguente grafico pubblicato anche qui. Come si vede - attraverso la percentuale della domanda pubblica reale (change in g) e la variazione della domanda del settore privato - nel periodo 2009- 2013 le politiche di austerità (Grecia, Portogallo, Irlanda, Spagna e Italia) riducono i redditi del settore privato, mentre le politiche di bilancio espansive (Germania, Finlandia, Austria, Francia e Belgio) li accrescono. Eppure ci continuano a ripetere che occorre tagliare la spesa pubblica per ridare spazio alla crescita del settore privato…
Tutti questi studi non sono potuti passare inosservati a certi professionisti dell'economia.

2) UN’INFINITÀ DI RICERCHE DIMOSTRA CHE LA SPESA PUBBLICA, AUMENTANDO LA DOMANDA DI BENI E SERVIZI, SI AUTO-FINANZIA

Ogni studente di economia lo sa: l’innalzamento dei redditi del settore privato si traduce in entrate fiscali, che vanno a ripagare il debito pubblico. Inoltre, come hanno riconosciuto pure il CBO (l’organismo indipendente del Congresso americano dedicato alle politiche di bilancio) ma anche un’infinità di ricerche condotte in questi anni (Vegh, Fatas, Ilzetzki Holland, Perotti, Eichengreen, O’ Rourke, De Long,  Auerbach,  Almunia, Mendoza, Mihov, Sumner, Eggertsson, Eichenbaum, Krugman, Romer, Gorodnichenko, Portes, Summers, Hurts,  et al.) la spesa pubblica ha un moltiplicatore superiore ad uno (addirittura ci sono settori, come l’edilizia, che raddoppiano, in termini di PIL, un euro speso dalla Pubblica Amministrazione cfr. Blanchard del FMI in “Getting Granular” aprile 2013), il che significa, per il nostro Paese, che 1 euro di spesa accresce il PIL (e quindi occupazione e produzione)  di una volta e mezzo permettendo di  trovare risorse utili anche per ripagare la spesa e ridurre il rapporto debito/PIL. Certo che se si considerano investimenti solo quelli in macchinari industriali destinati all’export, il rapporto debito/PIL non potrà mai riprendere. A maggior ragione se ci si trova in un’economia mondiale caratterizzata da eccesso di offerta sulla domanda.

3) LA SPESA PUBBLICA RALLENTA LA CADUTA DEI REDDITI
La spesa di qualcuno è sempre il reddito di qualcun altro. Se andiamo al supermercato e compriamo prosciutto, avremo incrementato il reddito del supermercato, dei suoi dipendenti, del produttore di prosciutto e dei suoi dipendenti, e l’allevatore di maiali. Questo effetto è stato chiamato ”moltiplicatore” da Keynes, ed esiste anche per lo Stato, come abbiamo visto, e può mettere in azione meccanismi che consentano di incrementare l’impiego delle risorse produttive e tendere al raggiungimento della piena occupazione, provocando una crescita del reddito nazionale, e quindi un aumento della domanda di beni e servizi, in una sorta di circolo virtuoso.

4) RICERCHE ED EVIDENZE EMPIRICHE DIMOSTRANO CHE LA SPESA PUBBLICA RIDUCE LA DISOCCUPAZIONE

Più spesa pubblica attraverso appalti, crea domanda di beni, servizi, lavori ad imprese, e quindi genera, in un periodo di recessione, maggiore occupazione. E usando i soldi dei contribuenti per aumentare la domanda si aumenta il PIL, quindi si riduce il rapporto debito/PIL.
a) Due ricercatori americani di Philadelphia hanno esaminato l’impatto su crescita ed occupazione di maggiori deficit statali (non di deficit del governo federale) negli Usa in tempi di crisi tra 1973 e 2009, scoprendo che deficit temporanei da parte dei singoli Stati hanno un impatto positivo sul tasso di crescita dell’occupazione e una riduzione del tasso di disoccupazione statale. La più ampia parte della crescita dell’occupazione avviene tramite il rientro nella forza lavoro di lavoratori locali, ma i deficit statali impattano anche sulla crescita dei posti di lavoro di altri Stati con simile struttura produttiva e l’impatto di questi deficit sugli Stati esterni è circa la metà di quello all’interno, quindi con effetti a cascata (“sPILlover effects”). Questi aumenti aiutano, pur temporaneamente, a fronteggiare la crisi, perché non sono diretti a investimenti di lungo periodo ma finalizzati ad aumentare la domanda aggregata quando questa è scarsa, quindi il loro ruolo momentaneo è stato fondamentale per generare essenziale domanda interna, pubblica.
b) In Scandinavia dove il sistema del welfare non ha subito tagli, la crescita è più continua che nel resto dell’UE e la disoccupazione è più bassa.
c) In Cina, al culmine della crisi finanziaria globale del 2008/2009, persero il lavoro circa 20 milioni di migranti dalle aree rurali, e questo ha suggerito al governo uno stimolo di 4000 miliardi di yuan per sostenere l'economia e l'occupazione, ponendo un obiettivo di crescita del 7,5% per creare posti di lavoro e dare spazio a riforme dell'economia che dessero spinta alla domanda interna, mediante maggiori consumi, e riducessero l'affidamento sull'export.

5) LA SPESA PUBBLICA AUMENTA GLI INVESTIMENTI

Fra spesa pubblica e spesa privata esistono nessi di complementarietà, dal momento che la spesa pubblica, accrescendo i mercati di sbocco, accresce i guadagni attesi e quindi aumenta gli investimenti. Ciò è particolarmente importante per il nostro Sud, poichè la struttura produttiva è lì costituita da imprese di piccole dimensioni poco innovative e scarsamente internazionalizzate.

6) LA SPESA PUBBLICA NON È IMPRODUTTIVA

Chi parla di spesa pubblica improduttiva ignora il funzionamento dei sistemi statistici di contabilità. Una spesa è improduttiva quando non produce effetti, invece ogni singola voce del PIL di uno Stato (consumi privati, consumi del governo, investimenti, esportazioni nette, e scorte) ha importanza ai fini del conteggio del PIL,  dunque ha impatto sulla domanda aggregata, cioè sul PIL. La spesa pubblica è una domanda al settore privato, è reddito che entra nelle tasche del settore privato: gli acquisti di beni e servizi per il funzionamento della pubblica amministrazione, non sono altro che una domanda rivolta alle imprese; gli stipendi dei lavoratori pubblici, le pensioni e i pochi sussidi per le persone in difficoltà vengono anch'essi spesi e si traducono in consumi, cioè in vendite effettuate dalle imprese; gli investimenti pubblici si traducono in opere infrastrutturali (scuole, ospedali, strade, ecc.). Se proprio vogliamo trovare spesa improduttiva, dobbiamo andare a guardare dentro gli interessi passivi che paghiamo sul nostro debito pubblico, in particolare in quei 20 miliardi in mano agli investitori esteri, espatriati con transazione finanziaria mediante un semplice clic col mouse.

c) SERVE LA MANOVRA PRE-ELETTORALE SUL CUNEO FISCALE?

Il cuneo fiscale è la differenza tra il costo del lavoro a carico delle imprese e la retribuzione netta in busta paga percepita dal lavoratore dipendente. La differenza è costituita dal prelievo fiscale (Irpef), dai contributi previdenziali e sociali a carico dell’impresa e del lavoratore, al netto degli eventuali assegni familiari spettanti.
1) Come si vede dalla tabella QUI su fonte OCSE, esso è superiore alla media dei Paesi industrializzati (pari al 35.6%), ma non è così fuori norma da giustificarne l’assoluta priorità della sua riduzione. Comunque se in percentuale alle retribuzioni i nostri contributi sociali sono superiori alla media d'Europa, lo si deve principalmente al fatto che le nostre retribuzioni sono basse. E poi, se la pressione fiscale in Italia è così elevata, il motivo è che il debito pubblico è fuori controllo e l’austerità invece di diminuirlo lo ha fatto crescere redendo più dura la recessione.
Comunque, come si vede nel grafico QUI Francia e Germania hanno una tassazione sul lavoro ancora maggiore, inoltre negli ultimi dieci anni in Germania c’è stata una riduzione del cuneo fiscale, mentre in Francia e in Italia è rimasto sostanzialmente stabile, per cui non si può imputare al cuneo fiscale un contributo significativo all’incremento del costo del lavoro.
2) In busta paga, a chi prende meno di 1.500 euro netti mensili, potrebbero arrivare 85 euro al mese, ma bisognerà vedere se le promesse del Governo saranno mantenute, e se tutti i 10 miliardi saranno destinati interamente ai lavoratori, perché in caso di distribuzioni di parte dei tagli alle imprese, le cifre potranno essere ulteriormente ridotte.
3) Considerata la sua entità, si tratta di un intervento che avrà effetti limitatissimi e soprattutto viene costruito entro un quadro di finanza pubblica restrittivo (spending review), quindi del tutto inadeguato a fronteggiare la crisi.
4) 85 euro in più in busta paga potrebbero generare un aumento dei consumi, con impatto positivo sulla domanda interna, ma le statistiche di Bankitalia sull'indebitamento privato dicono che con quei soldi in più si pagheranno rate di mutui e finanziamenti, cartelle di Equitalia, polizze Rc auto, multe e le sempre nuove tasse sulla casa
5) quanto promesso di recupero economico non copre neanche lontanamente quanto i dipendenti pubblici hanno perso con il blocco dei contratti e della vacanza contrattuale
6) ai pensionati non va un euro, neanche a quelli alla minima, ai disoccupati non va un centesimo, chi guadagna meno di 8.000 euro l’anno e quindi non paga tasse non avrà niente.
7)  se calcoliamo che gli Enti locali (Comuni, Province e Regioni) hanno giù deciso l’innalzamento dell’aliquota Irpef di loro competenza a partire da questo marzo, vediamo che tra entrate e uscite resterà ben poco.

NON PRAEVALEBUNT

Da quando tagliando i servizi pubblici si migliorano? Essi aiutano a vivere meglio e a non affrontare la crisi in solitudine, mentre il disinvestimento genera un costante abbassamento della qualità del servizio e pressioni sempre più forti verso una privatizzazione totale di reti e servizi, a tutto danno delle tasche dei cittadini e della qualità del servizio, come dimostra un’ampia casistica. Ma il furore ideologico contro la spesa pubblica è arrivato ormai a livello di idee tanto triviali quanto prive di fondamento. L'imputata è sempre la spesa sociale, quando in realtà lo scopo è ridurre le importazioni e migliorare i conti esteri a spese dei soliti noti, come mostra lo schema qui, con effetti disastrosi sul debito pubblico vedi qui. Cinica politica reazionaria, dunque, e Cottarelli, che proviene dal Fondo Monetario Internazionale, dovrebbe saperlo meglio di chiunque altro. I dati ci sono tutti per confermare chi ha ragione, basta avere il coraggio di far diventare questi dati azione politica. E invece ci entusiasmiamo per Premier sempre più giovani e belli: ma se queste sono le politiche economiche, nulla cambia.
D’altra parte il mancato coordinamento europeo delle politiche fiscali, economiche e del lavoro, e l'assenza intenzionale di un sistema di "trasferimenti" fiscali, implica come soluzione la distruzione del welfare, magari prendendo a pretesto sprechi, inefficienze e distrazione di denaro pubblico, che pure esistono. L’Italia e l’insieme delle periferie europee avrebbero bisogno anche di politiche espansive e di un traino alle esportazioni che dovrebbe provenire dalle regioni centrali europee, le quali hanno invece praticato in questi anni politiche aggressive di contenimento dei salari ed espansione dei loro avanzi commerciali.
La soluzione c’è, i politici e le istituzioni europee no. L’incompetenza ci ha portato a questo punto, la ricetta del mercantilismo liberista imposta dai conservatori nordeuropei e raccomandata dalle istituzioni antidemocratiche dell’UE, fondata su austerità cieca e svalutazione del lavoro. Ma non è troppo tardi per fare le nostre scelte: prendiamone atto e facciamo la cosa giusta quando voteremo alle elezioni europee. Non praevalebunt.
Franco Pinerolo
marzo 2014

 
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