L’Istituto per non vedenti Paolo Colosimo |
NapoliNews - Arte | |
Scritto da Achille Della Ragione | |
Domenica 22 Aprile 2007 21:28 | |
L’Istituto per non vedenti Paolo Colosimo Un raro connubio tra fede, arte e carità La chiesa di S. Teresa degli Scalzi con la sua mole maestosa è uno dei tanti monumenti colpevolmente negati da decenni alla fruizione dei napoletani e dei forestieri. Edificata nel Seicento possedeva un monastero tra i più estesi e ricchi di opere d’arte della città che, passato allo Stato, si trasformò nel 1892 in un istituto per ciechi. Un luogo di fede e di preghiera divenuto esempio di solidarietà e fratellanza fra gli uomini. Nei primi decenni offriva unicamente un ricovero ai non vedenti, ma il caso stava per diventare l’artefice di un profondo cambiamento, quando il 24 maggio del 1913 bussò perentoriamente alla porta della famiglia Colosimo e strappò via, nel fiore della gioventù, il giovane avvocato Paolo.Il dolore dei genitori fu straziante, ma dalla sofferenza più atroce nacque il nobile proposito di aiutare i più sfortunati tra gli uomini: i non vedenti nel difficile cammino della loro esistenza. Tommasina Grandinetti in Colosimo, profuse tutte le sue ricchezze e le sue energie nell’accettare la presidenza dell’Istituto, il quale cominciò ad ospitare i soldati che, nel furore spietato della seconda guerra mondiale, avevano perso la vista. Essi furono istruiti a svolgere attività lavorative compatibili con la loro grave mutilazione, continuando a sentirsi utili ed impararono l’uso dei telai e del tornio. Grazie al sistema Braille leggevano ed eseguivano disegni. Negli anni Venti ha lavorato nell’Istituto un personaggio leggendario: Eugenio Malossi, che oltre alla cecità era muto e sordo, una sventura che avrebbe distrutto chiunque, ma che invece non impedì al nostro eroe di diventare maestro di altri compagni di sventura e di creare una tecnica, adoperata in tutto il mondo, per comunicare per i soggetti portatori di handicap sensoriali multipli. La odierna benemerita Lega del filo d’oro prende spunto dalla sua attività, che ebbe all’epoca grande eco sulla stampa ed avrebbe sicuramente meritato il premio Nobel per la pace. Dal 1941 il Colosimo è divenuto un istituto professionale con corsi per falegname, tessitore, centralinista e massoterapeuta. Gli insegnanti e gli istruttori sono quasi tutti non vedenti a dimostrazione che con gli occhi della mente e con una ferrea volontà si può superare qualsiasi menomazione. La visita al vecchio monastero organizzata dagli Amici delle chiese napoletane è stata una delle più interessanti tra le oltre duecento organizzate nei quattro anni di attività dell’associazione. Essa è avvenuta grazie alla cortese disponibilità della dottoressa Zullo e del dottor Salzano. Nell’elegante anticamera dove le monache incontravano, in rare occasioni, i parenti ci riceve un solerte funzionario della regione Costantino Asprinio, che ci guiderà lungo un affascinante percorso a ritroso del tempo. Nell’ingresso troneggiano solenni i busti dei fondatori ed alcune lapidi che rammentano la nascita dell’Istituto. Dopo pochi passi si entra in un piccolo chiostro con al centro un vecchio pozzo, dal quale le monachelle attingevano l’acqua di cui abbisognavano. I locali attualmente occupati dagli uffici dell’amministrazione sono adornati da stalli lignei di eccezionale bellezza, alcuni dei quali gareggiano alla pari con quelli solenni delle sale capitolari dei più celebri monasteri cittadini. Alle pareti e sui soffitti splendide tele settecentesche accuratamente restaurate. Al fianco di due possenti colonne a tortiglione due dipinti firmati di Sebastiano Conca degni di Capodimonte. L’antica sala delle vendite, dove periodicamente avveniva l’autofinanziamento dell’Istituto attraverso l’aggiudicazione di tessuti e lavori in vimini eseguiti dagli allievi, è contornata da una serie di armadi, che conservano a futura memoria i lavori migliori. Proseguendo la visita si percorrono lunghissimi corridoi sui quali si affacciano le aule ed i laboratori. Si visita prima una cappella dove si celebra messa davanti ad un altare ligneo di preziosa fattura e ad una piccola pala di scuola solimenesca; quindi si accede ad un teatrino perfettamente conservato, con tanto di foyer, platea e loggione per circa duecento posti, con un sipario contornato da agili girali in legno dorato. Ai piani superiori, dopo uno sguardo al vecchio malfermo campanile ed ai numerosi orti, si entra nelle grandi sale dove si conservano gli speciali telai, dotati di campanelli, che venivano adoperati dagli allievi per eseguire i loro raffinati lavori di tessitura. Un lungo corridoio è tappezzato da antiche foto che mostrano i soldati della prima guerra mondiale, ancora nelle loro divise, impegnati in lavori di tornio e di tessitura. Alcune immagini riprendono Eugenio Malossi mentre lavora ed insegna e sulla parete laterale una lunga serie di diplomi reali e benemerenze varie ottenute grazie alla sua opera meritoria. La visita si conclude tra i giardini e gli enormi spazi esterni prospicienti l’edificio del museo archeologico. In uno di questi orti si trovava un antico sepolcreto dove riposavano le religiose dopo il loro percorso terreno di privazioni e preghiere. L’emozione per gli incontri con gli ospiti della struttura, ai quali negli ultimi anni si sono affiancati anche studenti ipovedenti e la scoperta di una superficie così ampia salvatasi dalla furia edilizia invita a tristi e gravi pensieri ed a considerare la nostra fortuna di non essere costretti a vedere attraverso gli occhi dell’anima.
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Ultimo aggiornamento Giovedì 12 Marzo 2009 17:42 |