Il Caravaggio a Napoli |
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Scritto da Achille Della Ragione | |||
Mercoledì 23 Maggio 2007 21:43 | |||
Il Caravaggio a Napoli A partire dai primi anni del secolo, senza attendere il prorompente arrivo in città del Caravaggio, si avverte nell’aria che qualche cosa sta succedendo e lentamente tutti gli artisti, anche quelli di prestigio cominciano a rivedere le loro posizioni cercando di aggiornarsi. Il grande giubileo del 1600 ha condotto a Roma turbe di fedeli e tra questi, anche se non è documentato con precisione, sicuramente molti pittori, i quali non avevano difficoltà ad ammirare le principali opere del grande lombardo, in gran parte a collocazione pubblica. Una lampante dimostrazione di quanto asserito è rappresentata da un disegno del Corenzio, conservato nel museo di Capodimonte, copia con varianti di una delle tele laterali della cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi :”La chiamata di San Matteo”. Il foglio risente ancora della fase manieristica di Belisario, un artista che notoriamente non venne influenzato dalle nuove mode e continuò imperterrito sulla sua strada, ras incontrastato nelle grandi imprese decorative a Napoli e nel vice regno fino al 1643, quando, ultra ottantenne, chiuse in gloria la sua attività , precipitando da imponenti impalcature nella chiesa dei Ss. Severino e Sossio.Più volte la critica è andata alla ricerca di precursori meridionali del Caravaggio ed alcuni autori hanno creduto di trovare in alcune opere di Aert Mytens , un fiammingo conosciuto anche come Rinaldo Fiammingo, dei segni inequivocabili del nuovo verbo. In particolare un Cristo deriso, iniziato a Napoli e completato a Roma, certamente prima del 1602, anno di morte del pittore, presenta effetti chiaroscurali così manifesti ed un’azione drammatica talmente incalzante, da far credere ad occhi non smaliziati di trovarsi innanzi a sconvolgenti novità. L’effetto di lume notturno adoperato dal Mytens richiama però Luca Cambiaso e non è adoperato con fini naturalistici, mentre la carica di realtà rappresentata sulla tela è assolutamente generica. Ed inoltre il modo di contornare i personaggi con precisione disegnativa ci dimostra che la pittura del fiammingo è perfettamente in linea con i dettami del Manierismo internazionale di Spranger e di Goltius, uno stile di grande successo che imperversò all’epoca in tutta Europa. Ma sarà soltanto la sconvolgente lettura diretta della realtà e la novità di una luce che viene dall’alto, a definire, con il magistrale gioco del chiaro scuro, i personaggi. L’arrivo in città di questa rivoluzione ci farà apparire all’improvviso ridicole caricature, ai limiti del grottesco, le opere degli artisti all’ora in auge in città, dal Curia all’Imparato, dal Rodriguez al Corenzio, dal Borghese all’Azzolino. Tutti si convincono di colpo che il modo di rappresentare la pittura sacra ha subito una svolta definitiva e gli artisti cercano di correre ai ripari, calcando le ombre e dando agli sfondi una consistenza più tangibile, ma per i tardo manieristi partenopei è una battaglia persa in partenza. La ricchezza del mercato napoletano è però ampia e differenziata e molti pittori continueranno tranquillamente a lavorare a pieno ritmo fino a metà secolo, soddisfacendo decorosamente una committenza devozionale. E veniamo all’avventura napoletana del Caravaggio, il quale, da giovane apprendista, giunto a Roma all’età di 18 anni, seppe “costruirsi, crescere, straripare dalle zone basse di piazza Navona, oltre Tevere, oltralpe, oltre il suo secolo ed i secoli successivi”(Guttuso), arrivando fino a noi come uno dei massimi pittori di tutti i tempi e trasmettendoci il messaggio di una pittura intesa come affermazione della verità delle cose e come coscienza della vita e della morte. La sua grande capacità creativa e la sua energia innovativa seppero proporsi come fonte d’acqua viva nell’ambiente pittorico napoletano, dove egli trovò i suoi nuovi e più motivati seguaci. I suoi dipinti realizzati nella capitale vicereale produssero sull’ambiente artistico conseguenze immediate, profonde e durature. Egli giunse in città al culmine della sua maturità, dopo aver penetrato le ragioni più autentiche del cristianesimo e nei suoi schemi compositivi, spesso rifiutati dai committenti perché ritenuti poco decorosi, gli eroi sono gli umili, i vinti, la gente della strada. Egli nelle sue opere, col pretesto dell’iconografia religiosa, si compiace di rappresentarci il dramma della condizione umana. Arriva a Napoli in fuga da Roma, che mai più rivedrà, dove in una rissa ha ucciso un uomo, Ranuccio Tomassoni. Il Caravaggio, uomo dal carattere forte ed irascibile era abile nelle armi quanto col pennello e la sua spada divenne un simbolo, quasi una metafora della sua azione incontenibile. I due soggiorni vanno, dal settembre 1606 al giugno del 1607, il primo, dall’ottobre del 1609 al luglio 1610 il secondo, nuove acquisizioni di opere napoletane sono sempre possibili, come pure variazioni nella cronologia e nel riparto dei dipinti tra i due distinti soggiorni. La prima opera documentata risale al settembre 1606, è la famosa pala Radulovic, di cui si sono perse le tracce, mentre il 9 gennaio del 1607, tra lo stupore e l’ammirazione generale, cade il telone che ricopriva le Sette Opere di Misericordia nella chiesa del Pio Monte, opera memorabile nella quale convivono la più disperata visione di un’umanità elementare associata ad una fedele rappresentazione didascalica dei precetti morali della Chiesa. Sembra di percepire il fragore quasi fisico di vita passionale che prorompe dalla tela. Alcuni brani sono indimenticabili, come la Madonna che si affaccia al balcone della notte o la popolana che offre il seno a nutrimento del padre carcerato, su tutto aleggia una risonanza antica di Grecia e di Pompei. E poi la Flagellazione per la chiesa di San Domenico, per cui Caravaggio riceve pagamenti nel maggio del 1807, dipinto essenziale con una struttura compositiva di una semplicità assoluta: due carnefici, scaricatori di porto, preparano la vittima e dal corpo di questa si espande una luce, un biancore di carne umana, come non ne aveva mai dato la pittura, una massa di candore che sta per crollare, il bianco vello dell’Agnus Dei, che a contatto con le masse muscolose dei lazzari provoca un impressionante scatto di verità. Tra le opere napoletane la critica colloca anche la Madonna del Rosario oggi a Vienna, che influenzò molti maestri locali con le sue novità ed i suoi espedienti teatrali, atti ad imprimere un tono solenne alla rappresentazione, come il grande tendone rosso annodato alla colonna scanalata. Altre opere del primo periodo sono la Crocefissione del museo di Cleveland e l’Incoronazione di spine del Kunsthinstoriches, che presentano lo stesso personaggio barbuto. Ed inoltre la Flagellazione del museo di Rouen e la Salomè con la testa del Battista della National Gallery di Londra, che entrambe utilizzano lo stesso modello dal volto patibolare utilizzato nella più celebre Flagellazione oggi a Capodimonte. A Napoli è stata presente in vendita per molto tempo anche una Giuditta ed Oloferne, ora smarrita, di cui vi sono copie antiche, la più bella al museo del Banco di Napoli, che ce ne trasmettono la potente iconografia. Dopo una permanenza a Malta ed in Sicilia il pittore è di nuovo a Napoli dall’ottobre 1609 e come sempre febbrilmente al lavoro. L’accoglienza non è delle più festose, infatti sulla porta della locanda del Cerriglio, dove egli alloggiava, viene sorpreso dai sicari di Ranuccio, che lo bastonarono fino a renderlo irriconoscibile. Quasi tutti i dipinti della seconda fase sono contrassegnati da uno spiccato luminismo e da uno stravolgimento delle forme. Un’importante commissione fu costituita dall’esecuzione di tre tele per la cappella Fenaroli in Sant’Anna dei Lombardi: la Resurrezione posta sull’altare e ripetutamente citata dalle fonti antiche e dai viaggiatori di passaggio per la sua bellezza e per la novità dell’iconografia, che rappresentava il Cristo risorto non spaventato ma abbagliato dalla luce che colpisce i suoi occhi tanto a lungo immersi nelle tenebre, vi erano poi un San Francesco che riceve le stimmate ed un San Giovanni Battista. I quadri dopo secoli di successo ed ammirazione furono distrutti dal terremoto del 1805. Sono da ricordare inoltre la Salomè con la testa del Battista del Palazzo Reale di Madrid, i due David e Golia della Galleria Borghese e di Vienna, la Negazione di Pietro di antica collezione napoletana esportato clandestinamente all’estero ed oggi al Metropolitan di New York, l’Annunciazione del museo di Nancy ed il San Giovannino della Borghese. Per ultimo bisognerà accennare al Martirio di Sant’Orsola, già della Banca Commerciale, conservato a palazzo Zevallos, che rappresenta l’estrema testimonianza del Caravaggio prima della partenza da Napoli e della triste morte sulla spiaggia di Porto Ercole. Il merito della scoperta di questo ultimo quadro, che giaceva dimenticato sotto un’attribuzione a Mattia Preti e che perfino il Longhi riteneva potesse trattarsi al massimo di un’opera del Manfredi, spetta in egual misura al Bologna che, giovane ispettore negli anni Cinquanta, ne avanzò per primo la corretta attribuzione, a Mina Gregori che lo ha caparbiamente ritenuto opera autografa, facendolo acquistare all’ultimo proprietario ed a Pacelli, che ha scoperto negli archivi tutte le carte relative e ne ha identificato la precisa iconografia nella Sant’Orsola confitta dal tiranno, facendo sì che il dipinto sia oggi l’opera più documentata del Caravaggio.
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Ultimo aggiornamento Giovedì 12 Marzo 2009 17:38 |