Napoli: Natura morta napoletana del Settecento
La natura morta napoletana è più apprezzata dal mercato antiquariale che dalla critica, più conosciuta dai collezionisti che dal grande pubblico. Essa non raggiunge i fasti del secolo precedente, ma mantiene un livello dignitoso almeno per i primi cinquanta anni, per spegnersi poi senza svilupparsi in esiti di un qualche interesse, ad eccezione forse di Mariano Nani, figlio di Jacopo ed attivo in Spagna fino alle soglie dell’Ottocento ed il notevole Mariano Cefis (fig. 1), scoperto nel corso delle ricerche esperite per la stesura di questo contributo, con i quali si chiude una gloriosa tradizione.
Alcuni artisti come Tommaso Realfonso (fig. 2), Nicola Casissa (fig. 3), Gaspare Lopez (fig. 4), Giacomo Nani (fig. 5) e Baldassarre De Caro (fig. 6) continuano la tradizione locale specializzandosi nel dipingere fiori, frutta, pesci, cacciagione, soddisfacendo così le richieste di una vasta committenza, il cui gusto era semplicemente cambiato in linea coi tempi. E questo senza considerare le infinite figure minori, che lentamente stanno riemergendo da un oblio secolare o alcuni artisti più noti, che lavorano a cavallo dei due secoli e che i libri di storia dell’arte considerano operanti unicamente nel Seicento, quali Francesco Della Questa (fig. 7), Aniello Ascione, Nicola Malinconico (fig. 8), Gaetano Cusati (fig. 9), Onofrio Loth (fig. 10), Elena (fig. 11) e Nicola Maria Recco, fino a Giuseppe Ruoppolo e forse lo stesso Andrea Belvedere, che muore nel 1732 e probabilmente, almeno nei primi anni, dopo il ritorno dalla Spagna, prima di dedicarsi unicamente al teatro, come afferma il De Dominici, avrà continuato la sua attività come testimoniano alcuni suoi dipinti dal sapore già settecentesco. Purtroppo sul destino del genere nel secolo dei lumi ha pesato il giudizio negativo di Raffaello Causa, il quale, riteneva il trapasso tra Seicento e Settecento alla stregua di un vero e proprio passaggio dal sonoro al muto e sentenziava, nella sua impareggiabile esegesi sull’argomento, pubblicata nel 1972 sulle pagine della Storia di Napoli, che con la rinuncia del Belvedere ai piaceri della pittura si chiude il secolo d’oro e dietro di lui una folla di fioranti facili e svelti di mano ed una torma di imitatori fanno ressa su un mercato molto florido, dove alcune richieste, scaduto il gusto dei committenti, si esaudiscono a metraggio; i protagonisti sono tutti scomparsi, la parlata si è fatta fioca, incolore, dialettale e financo rozza e sgarbata, non vi è più nulla o ben poco da salvare, nonostante i fasti vecchi e nuovi del mercato dell’arte. Il suo anatema fece si che quando nel 1979 fu organizzata la grande mostra Civiltà del Settecento mancasse una sezione dedicata alla natura morta e fu un deplorevole errore, che ha concorso a ritardare l’interesse e gli studi sul settore. Già nella precedente mostra sulla natura morta, svoltasi nel 1964, i generisti napoletani del Settecento erano mal rappresentati, con pochi dipinti ed alcuni nemmeno autografi. Al parere del grande studioso si attenne a lungo la critica e lo stesso Ferrari, sempre sulla Storia di Napoli, trattando degli svolgimenti artistici tra Sei e Settecento, assegnò agli specialisti napoletani poche brevi annotazioni, giudicando immotivato il richiamo di Realfonso a “moduli d’apparenza naturalistica”, preferendo il “barocchetto fresco e guizzante” del Cusati, “l’illusionismo variopinto e porcellanoso” del Lopez o il “verismo a volte perfino involontariamente umoristico” del Nani. Ben più pacato era stato il giudizio della Lorenzetti nel catalogo della memorabile mostra su tre secoli di pittura napoletana, tenutasi nel 1938: ”Mentre dilaga il decorativismo settecentesco nelle sue forme geniali ed artificiose il sentimento realistico nella sua più solida concretezza è custodito dai pittori di natura morta che nello stretto legame con la tradizione seicentesca dipingono animali, fiori, erbaggi, frutti di mare sul fondamento di uno stile di remota ascendenza caravaggesca in cui si avverte qualche transito più esteriore di fiamminghismo. Se lungo il secolo il chiaroscuro, per gusto di diffuse chiarità si attenua, il naturalismo di questi pittori non si spegne. La pittura di genere a Napoli nei primi decenni del Settecento poco concede a ragioni di vaga decorazione, ma più insiste sulla penetrazione del carattere delle immagini naturali”. Favorevoli erano stati anche gli interventi del Testori nel 1958, che aveva riconosciuto i meriti del Realfonso e del De Logu, nel 1962, il quale, nel suo aureo volume sulla natura morta italiana, aveva dedicato ampio spazio e considerazione ai generisti napoletani, fornendo numerose notizie nuove e formulando per molti giudizi lusinghieri. Anche il Roli aveva ipotizzato un diretto intervento del Nani nella formazione di Luis Melendez, pittore spagnolo nato a Napoli ed autore, in pieno Settecento, di una serie di spettacolari nature morte di matrice neonaturalista; ipotesi accettata in seguito anche da Bologna, anche se spostata in favore del Realfonso, per il quale il Rosci parlava entusiasta di “un singolare scatto neorealistico”. Anche all’estero, nel 1977, il volume di Urrea Fernandez sulla pittura italiana in Spagna, dedicava ampio spazio agli specialisti napoletani e ci permetteva di conoscere numerosi dipinti inediti di De Caro, Lavagna, Nani e Realfonso, a dimostrazione di una committenza internazionale e di un prestigio acclarato non solo a Napoli. Un riscontro che in anni più recenti è stato riconosciuto al Lopez, del quale sono stati rinvenuti esemplari datati o documentati di notevole qualità a Roma ed a Firenze, a conferma dell’asserzione del De Dominici che riferiva di viaggi del pittore in Italia ed all’estero. Il Settecento napoletano nel campo della natura morta è affollato anche di figure minori o di ignoti in attesa di essere riconosciuti ed eventualmente apprezzati, gli studi devono perciò riprendere con maggior lena, per colmare un deficit di conoscenza e per venire incontro alle esigenze di un mercato antiquariale nel quale, con frequenza sempre maggiore, compaiono dipinti, anche di eccellente qualità, spesso firmati ed a volte datati, i quali permettono alla critica di progredire e di fornire, giorno dopo giorno, un quadro sempre più puntuale di quella che fu una stagione, se non grandiosa, ben più che dignitosa, nel quadro della nobile tradizione figurativa napoletana. Achille della Ragione
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