Napoli: Un glorioso passato di casini
Negli ultimi tempi, a latere alla polverizzazione della prostituzione, ho notato con stupore e nostalgia la ricomparsa nella rubrica delle inserzioni commerciali dei messaggi delle "massaggiatrici", stranamente scomparsi da decenni, nonostante viviamo in un periodo di mercantilismo sfrenato.
Sono ritornato agli anni in cui leggevo questi annunci con un interesse malizioso, che poteva diventare personale, ben diverso da oggi che la lettura è puramente intellettuale. Scopro così che l'offerta, al passo con i tempi, si è specializzata, ma a pensarci bene già sugli antichi lupanari pompeiani esplicativi affreschi pubblicizzavano le prestazioni nelle quali la proprietaria era particolarmente versata. Poi si possono percepire gli effetti della globalizzazione: brasiliane e cubane calienti, slave vogliose, addirittura cinesi meticolose e pazienti. Quanti posti di lavoro perduti per le nostre prestatrici d'opera! Le possibilità coprono non solo tutti i gusti, ma anche tutti i momenti ed i luoghi della città. Ci siamo recati in visita ad un parente ricoverato e ci siamo rattristati? Vi è subito il rimedio per risollevare... lo spirito: ardente minorenne, prestazioni particolari, zona ospedaliera. Siamo all'aeroporto ed il nostro aereo è in ritardo? Niente paura, ci penserà Nietta, prezzi modici, calata Capodichino. O tempora, o mores, avrebbe gridato un severo censore nostro antenato, noi semplicemente sorridiamo. L’importanza dell’argomento ci induce a tracciare un ricordo degli antichi casini napoletani, alcuni leggendari altri, la maggior parte, per frequentatori meno raffinati. e vogliamo approfittare di un’antica cartolina per commemorare Concettina, chi sa se è ancora viva, un bocconcino delizioso, tra tante donne navigate. La foto è stata scattata negli anni Trenta in una casa chiusa di Napoli, sita in via Santa Lucia, una delle più eleganti della città, frequentata da gerarchi e podestà, nobili e ricchi sfondati. Concettina, questo il nome, forse di fantasia, della ragazza, indicato sulla cartolina, dimostra poco più di 15 anni, un’età vietata all’epoca per praticare il meretricio ed i postriboli erano molto severi nel rispettare i regolamenti, ma si faceva un’eccezione per qualche cliente importante, che desiderava carne fresca ed era disposto a pagare ben più delle normali tariffe. Per queste richieste particolari venivano persino reclutate delle vergini che, una volta battezzate, proseguivano poi la loro carriera cambiando ogni 7 giorni lupanare e questo incessante tour de force durava vari anni prima che ritmi sovraumani e malattie non rendessero la prostituta un relitto umano. Da questo atroce destino la nostra fanciulla è ben lontana. Le sue forme ben tornite mostrano la freschezza dell’età e la consistenza tufacea della giovinetta. Il seno, sodo e di forma perfetta è un invito irresistibile alla voluttà e la linea delicata del pancino richiama a viva voce quello immortale della Venere di Urbino, mentre i capelli, folti e neri come il carbone fanno da corona ad uno sguardo triste e malinconico, presago del triste destino che attende il fiore della sua innocenza. Ma basta malinconie i tempi sono cambiati: arrangiatevi! Il panorama della prostituzione in Italia negli ultimi decenni si è internazionalizzato con l'arrivo di legioni di nuove leve dall'Africa, dal sud America e dai paesi dell'est europeo e Napoli non ha fatto eccezione a questa regola generale. Nello stesso tempo, dopo l'approvazione della legge Merlin, l'esercizio del meretricio è divenuto ubiquitario e tende a svolgersi prevalentemente sulla pubblica strada, almeno nella fase iniziale dell'adescamento e della contrattazione ed anche la consumazione vera e propria avviene en plein air o al massimo in auto. Napoli è stata a lungo capitale della prostituzione sia maschile che femminile ed in passato si è dotata di leggi lungimiranti per confinare in alcune aree della città la pratica del più antico mestiere del mondo. In passato, come apprendiamo dalla Storia della prostituzione del Di Giacomo, vi erano luoghi, stabiliti dall'Autorità, dove travestiti e prostitute potevano liberamente esercitare... A lungo questa zona fu l'Imbrecciata, che si trovava nei pressi di Porta Capuana, vicino al borgo di S. Antonio Abate. Cominciò a svilupparsi intorno al 1530 ed in quell'area vennero progressivamente localizzati tutti i postriboli partenopei. Infine, in un editto emanato nel 1781, l'Imbrecciata fu riconosciuta come l'unico quartiere dove era ammesso il meretricio. Nel 1855, per evitare sconfinamenti, la zona fu delimitata da un alto muro di cinta con un solo cancello d'accesso, presidiato dalla polizia, che faceva cessare ogni attività poco prima della mezzanotte. Questa segregazione durò fino al 1876, quando fu consentita la prostituzione anche in altri quartieri. Nell'ambito di questo rione off limits vi era una strada frequentata solo dai travestiti, che si chiamava per l'appunto vico Femminelle, toponimo che tramutò prima in via Lorenzo Giustiniani ed oggi via Pietro Antonio Lettieri. L'utopia di creare un quartiere separato per la prostituzione è l'orientamento odierno di numerosi paesi del nord Europa dove, attraverso consuetudini e regolamenti, il sesso a pagamento viene limitato in quartieri a luci rosse, il colore della lanterna che serviva a segnalare le cortigiane napoletane, come raccontava nel 1785 Charles Dupaty nel suo Lettres sur l'Italie. In precedenza anche Filippo il bello nel XIII secolo aveva disposto che le prostitute dovessero esercitare su barconi posti sulle rive di un lago o di un fiume, con la speranza che la disponibilità di acqua per lavarsi tra un rapporto e l'altro fosse un ostacolo al diffondersi delle infezioni ed infatti dal francese au bord de l'eau, sul bordo dell'acqua, deriva l'etimologia della parola italiana bordello. Dopo l’Unità d’Italia si cercò di porre un argine al dilagare delle malattie veneree aprendo i famosi casini, tenuti dallo Stato, che ne regolava l'attività e fissava le tariffe, dando poi l'appalto, come un qualsiasi genere di monopolio, ad un privato, la famigerata maitresse. Sul funzionamento di queste case abbiamo memorabili descrizioni di Francesco Mastriani nel suo celebre romanzo i Vermi, mentre la storica Lucia Valenzi compulsando gli archivi ha reperito le poche notizie documentarie che ci illuminano sulle terribili condizioni di vita delle puttane dell'epoca (una situazione che purtroppo oggi si è ulteriormente degradata. Celebri casini erano il Monferrato e la Suprema, posti entrambi a S. Anna di Palazzo ed in alcuni di questi le stanze si chiamavano con il nome di battaglia delle loro lavoratrici: Mimì do Vesuvio, Anastasia a friulana, Nanninella a spagnola, Dorina a bolognese. La provenienza delle ragazze di piacere era per metà cittadina, dai vicoli più bui e malfamati e per metà dai paesi del contado, dove spesso una fanciulla disonorata non aveva altra scelta che il bordello. Per lavorare bisognava iscriversi nei ruoli, ricevere una libretta ed entrare poi nel giro, che prevedeva un via vai in numerosi postriboli su e giù per l’Italia, cambiando luogo ogni sette, massimo quindici giorni. La prestazione delle ragazze veniva compensata con la famosa marchetta, un gettone forato al centro acquistato dalla maitresse e consegnato in camera prima del rapporto. Erano previste tariffe particolari a tempo e la famosa doppia. Nel 1891 Giovanni Nicotera stabilì che dalle finestre non ci si potesse più mostrare, per cui le persiane chiuse divennero il contrassegno delle case chiuse. I casini napoletani avevano fama di arredamenti sontuosi, dal velluto alla seta e trattamenti particolari; ne parlano entusiasti, non solo i viaggiatori del Grand Tour, ma anche intellettuali famosi nell’Ottocento e nel Novecento; meno entusiasta è invece la descrizione che traspare dall’inchiesta giornalistica di Jessie White Mario nel suo libro la Miseria di Napoli. Tra le due guerre la frequentazione aumentò considerevolmente sia dei bordelli caserecci dei quartieri spagnoli, sia delle eleganti Case di via dei Mille e di S. Lucia. La guerra con l’arrivo degli Americani, carichi di dollari e sigarette, fece esplodere il mercato aumentando l’offerta con le signorine che si vendevano per contrastare i morsi della fame; è la triste epoca delle tammurriate nere e del meretricio praticato in centinaia di bassi, magistralmente descritto da Malaparte nella Pelle. Poi cinquanta anni fa, febbraio 1958 entrava in vigore la legge Merlin e, pur con la lodevole intenzione di liberare le prostitute da un giogo secolare, non si faceva altro che gettarle in pasto ai lenoni, mentre gli Italiani, come sintetizzava magistralmente il film di Totò, erano costretti ad arrangiarsi. Per pochi bacchettoni, difensori della morale, fu una conquista civile di portata storica, per molti una inutile ipocrisia che renderà la prostituzione una giungla feroce senza igiene, senza regole, senza pietà. A Napoli si ebbero giganteschi falò con i materassi dei casini pieni di ricordi e di pidocchi. Allora le prestatrici d'opera provenivano in gran parte dalla provincia e prevalevano, in un'Italia perbenista e bigotta che non esiste più, le sedotte ed abbandonate. Oggi siamo obbligati a confrontarci con un turpe ritorno allo schiavismo, gestito dalle mafie straniere, con punte di ferocia impensabili mezzo secolo fa. Per chi volesse approfondire l’argomento consiglio di consultare su internet: per la prostituzione maschile il mio saggio i Femminielli per l’atmosfera dei casini Nostalgia dei casini ed il Casino di Santa Chiara, per la situazione attuale un Esercito di puttane colorate nel regno dei casalesi. Achille della Ragione
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